martedì 14 ottobre 2025

Stato palestinese, dove? “PIANO DI PACE”: GAZA A ME, CISGIORDANIA A TE?

 

Fulvio Grimaldi per l’AntiDiplomatico

 Stato palestinese, dove?

 “PIANO DI PACE”: GAZA A ME, CISGIORDANIA A TE?

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“Tu ucciderai tutti gli uomini, tutte le donne, tutti i bambini, tutte le bestie” (Libro di Giosuè 6:21, relativamente a Gerico, oggi Cisgiordania)

Va premesso un dato incontrovertibile. Quello della misura in cui alla sedicente comunità internazionale festante (celebrano un deserto e lo chiamano pace) gliene freghi del popolo palestinese. Lo dimostra la grottesca e oscena farsa di un Piano di Pace che quel popolo di 15 milioni non lo prende minimamente in considerazione. Primo, con riguardo all’irrisolto peccato d’origine dello Stato ebraico, stragista, espropriatore, razzista, che ne esce rafforzato; secondo, per la totale cancellazione dalla scena della Cisgiordania, con i suoi 2,5 milioni, e dei cinque milioni di profughi. Ciò che resta sono: un frammento di Palestina dalle grandi prospettive immobiliariste e petrolifere, affidato a Trump, Blair e BP; e un altro frammento, premio di consolazione allo Stato ebraico che ne faccia la base di partenza per il Grande Israele.

 

Primum, inventarsi qualcosa che tolga di mezzo flottiglie e milioni in piazza

 

9 ottobre, sono passati tre giorni dalla proclamazione della” pace” a Gaza e, a detta di Trump, in tutta la regione. Pace in primis per tagliare le gambe a quella che, con flottiglie, milioni in piazza e riemersione dello Stato Palestinese, era diventata un intralcio di portata mondiale. Pace, peraltro, celebrata da Israele con la continuità delle bombe e della fame e che trova una sua particolare interpretazione anche in Cisgiordania. Per esempio, con quei coloni che il 9 ottobre scendono dal loro insediamento, come tutti i sacrosanti giorni dal 1967, per praticare la convivenza con chi c’era prima e ancora insiste a star lì. A forza di devastazioni, incendi, omicidi.

 

Essendo, secondo Trump e i suoi corifei, giunto il tempo della pace per i palestinesi, questo 9 ottobre la pace la si pratica dalle parti del villaggio di Deir Jarir. Alla fine della pacificazione c’è un villaggio distrutto, alcune case in fiamme, uliveti sradicati, fili elettrici tagliati, l’acquedotto spaccato, una scuola bucherellata dalle raffiche, Jihad Mohammed Ajaj, 26 anni, ucciso con una pallottola in testa e tre suoi famigliari feriti e poi ricoverati nel presidio medico della Mezzaluna rossa a Ramallah. Qui giunti dopo ore in fin di vita poiché le strade sterrate riservate ai palestinesi sono costellate di arcigni posti di blocco e interrotte dalle grandi strade a due carreggiate riservate ai coloni.

 

E’ uno di dozzine di episodi che si succedono senza soluzione di continuità da quando i padri di Israele, Ben Gurion, Golda Meir, Benachem Begin, utilizzando gli irregolari delle bande Stern, Irgun e Haganah, adottarono il terrorismo come metodo di controllo – e riduzione - delle popolazioni autoctone. Metodo che ha subito un formidabile crescendo dal giorno 7 ottobre, quando Hamas ha fatto riapparire la Palestina sul proscenio del mondo. Metodo, anche, che in questo frammento di Palestina non pare frenato dall’ola di pace lanciata dallo studio ovale, né messo in discussione dai vaticinatori dello Stato di Palestina.

 

Amici, avete tenuto testa, anche appigliandovi a qualche fortuita ciambella di verità (ho provato a lanciarne una anch’io da questa piattaforma) nell’onda anomala lanciata dal maremoto propagandistico israeliano sull’epocale evento del 7 ottobre? Siete riusciti a uscire indenni dalla narrazione neobiblica su quello sterminio di innocenti ebrei (quasi tutti uccisi da fuoco amico, metà erano militari IDF) da parte di sanguinari terroristi, stupratori e friggitori di neonati decapitati? Veleno anche più tossico perchè condiviso da laboratori, detti “alternativi” o “antagonisti”, dei quali eravamo abituati a fidarci? Tutti a sostegno del mantra che il genocidio era dovuto e giustificato, o almeno da comprendere, in risposta alle atrocità del 7 ottobre.

 

Del resto la chiave è sempre il “cui bono”, a chi è convenuto. E qui, però, le risposte sono due e in contrasto fra loro. Per l’una, grandi vantaggi ne hanno tratto Netanyahu e la sua compagine di psicopatici: il via libera, da tempo pianificato, allo sterminio di tutti i palestinesi, tutti chiamati Hamas, con tanto di tacito, esplicito, o a mezza bocca, consenso della maggioranza dei governi e media, ora coronato da un Piano di Pace che non sarebbe che la resa incondizionata di quel popolo e della sua resistenza. Per l’altra, tutto il contrario: col genocidio Israele ha tirato troppo la corda, ha perso l’incondizionato sostegno del mondo, da vittima si è rivelato carnefice, è precipitato in una lacerante crisi interna, viene isolato economicamente e politicamente, insomma s’è scavato la fossa.

 

Dopo Gaza, Cisgiordania (ciò che ne rimane)

 

Ora toccherebbe a quell’ultimo frammento di Palestina sparpagliato e schiacciato tra le nuove città che ospitano 900.000 coloni, ribattezzato, in vista dell’annessione definitiva come da dettato biblico, Giudea e Samaria. Il cosiddetto “Piano di pace” di Trump non prevede nei suoi 21 punti, che ne fanno il piano di ricolonizzazione anglosassone di Gaza, nessun accenno alla Cisgiordania. Forse che, nel disegno degli immobiliaristi, lasciare alla mercè dei coloni, di Netaniahu, Ben Gvir e Smotrich, la “Giudea e Samaria” con quei suoi quattro ulivi, sia la moneta con cui a Israele il consorzio Trump-Blair-Kushner paga la molto più appetibile “Riviera di Gaza”, con il gas miliardario al largo assicurato alla BP tramite Tony Blair? Che su questo baratto possano aver dato il loro consenso al Piano i governi arabi, in qualche modo fruitori del raccolto a venire?

 

Sebbene per quanto si va facendo alla Cisgiordania non si sia ancora addotto nessun presunto massacro di “innocenti civili”, tipo quello del Nova Rave di giovani allegri, piazzato proprio in vista del - e dal - campo di concentramento “Gaza”, bene in vista dei carcerati e morituri. Ma diamo tempo al tempo. Per ora, sulla criminalizzazione di quegli altri frammenti sparpagliati di residui palestinesi, prevale la tattica del silenzio. Che serva alla ripetizione, su quello straccio già insanguinato di Palestina, di quanto è stato fatto a Gaza? E ad evitare che le uova nel paniere di Trump, Netaniahu e Blair vengano rotte da un nuovo concorso, in terra e in mare, di popolo imbandierato di Palestina?

 

Nella guerra dei 6 Giorni del 1967, Israele aveva occupato tutta la Minipalestina che una squilibrata assemblea generale dell’ONU aveva strappato ai conquistadores sionisti. 26 anni dopo, gli Accordi di Oslo. La Minipalestina occupata e già frastagliata in isolotti incomunicanti da una proliferazione di insediamenti dichiarati illegali dall’ONU, è ulteriormente frantumata in tre aree ad amministrazioni distinte. Ne parliamo dopo.

 

Yitzak Rabin, il premier che una certa narrazione ci presenta come l’eccezione includente rispetto ai governi della cancellazione tout court dei palestinesi, invitava i soldati israeliani a “spezzare le ossa” ai ragazzini palestinesi che lanciavano sassi nella prima Intifada. Ha poi fatto tanto il conciliatore da produrre, con sodali internazionali vari, gli accordi-truffa di Oslo, chiodo nella bara dello Stato Palestinese. Accordi sottoscritti anche da uno stanco Arafat che si riteneva soddisfatto del grazioso riconoscimento dell’OLP come interlocutore e della costituzione di una cosiddetta Autorità Nazionale con bandierina palestinese sul palazzo della Muqata’a a Ramallah.

 

Corre una certa somiglianza tra i tripudi suscitati allora da questa “sistemazione” del conflitto israelo-palestinese e gli osanna oggi dedicati alla farsa pacifista di Trump che, come gli illusionisti di Oslo, evita accuratamente di sfiorare il nocciolo della questione.

 

Stroncata la seconda Intifada, ricupero di coscienza e combattività del popolo espropriato e colonizzato, diretta da Fatah con Marwan Barghuti segretario, l’ANP finisce in mano al più classico dei Quisling, Mahmud Abbas-Abu Mazen, e alla sua cricca di burocrati collaborazionisti, voraci e ladri. Si crea un condominio dell’intelligence e della repressione israelo-palestinese, impegnato a sopprimere sul nascere ogni singulto di resistenza. Condominio che subisce qualche crepa quando il Partito Hamas, emerso negli anni ‘80 come alternativa politica a detto condominio, vince a larga maggioranza le elezioni nei territori occupati del 2006. Sconfitto un tentativo di golpe di Fatah, assume il governo della striscia di Gaza, ma il potere in Cisgiordania gli viene negato dall’opposizione militare e poliziesca congiunta dell’ANP e di Israele.

 

Un’altra spartizione farlocca

 

Si consolida la grande mistificazione del cammino verso la graduale costituzione dello Stato di Palestina, come deliberata ripetutamente dall’ONU, con il diritto al ritorno dei profughi della Nakba e del 1967 e col divieto di costruzione di colonie che iniziano a frantumare la continuità del previsto Stato. Lo strumento sono Oslo e quell’architettura del territorio diviso in zone da una conduzione tricefala: l’A, sotto controllo dell’Autorità palestinese, la B sotto una surreale amministrazione congiunta palestino-israeliana, la C, area delle colonie, sotto esclusivo controllo israeliano. Nella C ricade una larga striscia di territorio lungo il fiume Giordano, che costituisce anche il confine con la Giordania, concorre a chiudere l’assedio ai territori del presunto futuro Stato e assicura a Israele il controllo sulle acque del fiume e su vaste zone irrigabili e coltivabili.

 

E’ anche una presa di possesso finalizzata a garantire a Israele la sicurezza rispetto a incursioni da Libano o Giordania. Incursioni anche recenti di Hezbollah e, più lontane nel tempo, quelle dei Fedayin dalle loro basi in Giordania, delle quali fui partecipe anch’io, assumendo la figura composita del cronista e del combattente.

 

Il grande equivoco delle tre zone, in cui solo nella A si poteva tirare qualche momento di sollievo da un’occupazione invasiva e spietata, presi tra le vessazioni delle incursioni militari e degli infiniti controlli ai posti di blocco, intesi a compromettere la vita civile, quella economica, gli spostamenti. Mi ricordo la blindatura del valico di Qalandiya, tra Ramallah, zona A, e l’area di Gerusalemme, divisa tra B e C, scientemente destinato a interrompere il flusso di lavoratori e cittadini verso scuole, ospedali, uffici amministrativi, posti di lavoro. Provocava file sterminate di viaggiatori esasperati, a piedi o su mezzi. L’intenzione punitiva era esaltata dal blocco, a fine di controlli e perquisizioni, delle ambulanze con a bordo malati, incidentati, o altri con ragioni d’urgenza. Per non essere potuti giungere in tempo a destinazione, molti pazienti morivano, donne partorivano nell’ambulanza. C’è tutto nel mio documentario “Fino all’ultima Kefiah!”.

 

Quanto alla zona sotto “esclusivo” controllo palestinese (che non evitava incursioni delle forze di sicurezza israeliane), di come fosse rispettata, mi ricordo per qualcosa che mi porto dentro ancora oggi, un quarto di secolo dopo. Nella zona A, da Ramallah, la sede dell’ANP, bastava spostarsi di poche centinaia di metri per ritrovarsi in una specie di terra di nessuno, formalmente A, ma di cui l’esercito se ne infischiava. Giorno dopo giorno vi si rinnovava la contesa tra chi doveva sottomettersi e chi sottometteva, i primi con i sassi, i secondi con lacrimogeni e, a volte, pallottole.

 

Fui testimone di uno di questi episodi dalla cadenza quotidiana. Blindati dell’esercito occupante penetrano nell’area A, li fronteggiano nugoli di ragazzi e ragazze, spuntati come funghi, mobilitati da un’organizzazione invisibile. Ho negli occhi l’immagine di una donna anziana, dalle vesti lunghe e col velo, che riempie di sassi un secchio, lo mette a disposizione dei giovani lanciatori. Poi, impazientita, li raccoglie da terra e li lancia lei stessa. I blindati, a circa 50 metri, dopo qualche lacrimogeno, rispondono col fuoco. Per l’oretta che rimango lì, ne vengono colpite tre ragazze. Le recuperano ambulanze comparse dal nulla. Non ho sentito un lamento.

 

Un altro giorno si tratta di eliminare un posto di blocco, con tanto di massi di cemento e torretta di sorveglianza, che impedisce il passaggio degli studenti verso la loro università, Bir Zeit. Ai palestinesi ci uniamo noi, un gruppo di solidali europei. Niente armi da fuoco dai blindati sulla collina, stavolta, ma un bombardamento a tappeto di gas CS, detto lacrimogeno, ma proibito per la sua tossicità dalla Convenzione di Ginevra. Vomitiamo in tanti, c’è chi perde i sensi. La mia mai sopita bronchite cronica, e chissà quante altre, venne innescata quel giorno. Per contrappasso, mi è stata curata, durante ripetute visite nella regione, anche da pneumologi arabi.

 

Hebron, insediamenti tombali

 

A Hebron la doppia gestione era concepita dagli israeliani in modo da innestare nel cuore della comunità araba un nugolo di coloni di estrazione statunitense, virulentamente anti-arabi e di fanatico impegno millenarista. 500 subito, ora migliaia, per i quali erano stati fulmineamente eretti enormi palazzoni su terreni della città vecchia della quale erano state rase al suolo le prestigiose testimonianze storiche risalenti al Medioevo. Dei genocidi elemento costitutivo è la cancellazione delle identità radicate nella Storia. Si pensi a cosa ha fatto a Palmira, in Siria, l’ISIS, mercenariato dei turchi e della NATO, dopo aver ucciso il suo custode, l’archeologo Khaled al-Asaad, per non avere rivelato agli attaccanti dove erano conservati i reperti più preziosi.

 

Incontro un medico che ha studiato in Italia. I militari gli hanno preso e occupato la casa in centro. Cacciati In mezzo a una strada anche i suoi bambini. Lui, davanti al portone, ci racconta. Loro, sui tetti, ci gratificano di sberleffi, poi sparano alle case al di là della piazza. Accorrono dei ragazzi e ci mostrano proiettili di mitra rimbalzati dai muri. Che lo si racconti in Italia…

 

Ogni due per tre, i soliti lanciatori di pietre ed erettori di barricate da dare alle fiamme all’arrivo dei militari, cercano di ricordare a se stessi e al mondo che quella è la loro terra, fin da quei secoli che le macerie dell’antico mercato non possono più rievocare. Tutto finisce poi come a Ramallah e Bir Zeit. Ma riprende. Non ha mai cessato di riprendere. Con o senza Hamas. Barricata di traverso alla strada principale di Hebron, fiamme, blindati arrivano e sparano. Ce la caviamo in un androne. Dai muri partono schegge. Incontriamo dei carabinieri italiani. Stanno lì nel ruolo di peace-keepers, o qualcosa del genere. Compilano rapporti. Non fanno né caldo, né freddo a nessuno.

 

Quelle di allora erano definite scaramucce, eufemismo per mezzo secolo di brutale e feroce tirannia e indefessa rivolta. A partire dal 7 ottobre dell’operazione “Alluvione di Al Aqsa” e della relativa risposta “Hannibal” (tecnica militare che non guarda in faccia a nessuno, con il risultato di 250 coloni fatti prigionieri e un numero imprecisato di civili e soldati uccisi nel fuoco incrociato), la Cisgiordania diventa terreno di guerra vera e propria. Soprattutto di vendetta sanguinaria, contro genti relativamente inermi, per quanto a Israele viene inflitto dalla Resistenza a Gaza. A Jenin e in altri campi profughi e centri abitati, da varie matrici storiche, nasce l’organizzazione combattente “Tana di leoni”.

 

C’era una volta Jenin

 

La violenza repressiva delle forze armate, anche aeree, dello Stato sionista, è sostenuta da incursioni di coloni armati e le sostiene Si abbatte su centri abitati palestinesi, che si tratti di città, villaggi e soprattutto campi profughi, o coltivazioni, fondamentali per la sussistenza: uliveti, vigneti, frutteti. Si arriva a tagliare reti elettriche, sabotare presidi sanitari, contaminare acquedotti. E di pochi giorni fa l’assassinio di uno dei realizzatori del documentario “No other land”, drammatica testimonianza di una vita resistente sulla terra che è sua, ma che è diventata impraticabile, a partire dalle vie di comunicazione vietate e a finire con gli ulivi sradicati.

 

Va ricordato, a disonore dell’ANP che, per mantenere la del tutto fantasmatica rappresentanza di un popolo che collettivamente la disconosce, agevola i pogrom di coloni e IDF con preventivi interventi della sua polizia, mirati a individuare elementi e nidi di una crescente resistenza e trasmettere informazioni ai colleghi con la stella di David. Resistenza animata oltre che da Hamas, dal Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, dalla fazione dissidente di Fatah e da comitati locali. Gli assalti di coloni, supportati dall’IDF da terra e con elicotteri dal cielo, devastano città come Nablus, Jenin campo di profughi della Nakba, vivace centro culturale, raso al suolo E poi Tulkarem, Nur Shams, Tubas. Ne risultano decine di migliaia di sfollati allo sbando.

 

Intanto Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze e caporione dei coloni, annuncia l’imminente annessione di Giudea e Samaria, cioè di quanto, persa Gaza mutata in “giacimento d’oro immobiliarista” (sempre Smotrich), resta della Palestina possibile.

 

Traggo da fonti recenti e da un dettagliato rapporto diffuso dall’Associazione Palestinesi in Italia (API) una serie di dati.

 

Dal 7 ottobre 2023 in Cisgiordania esercito, polizia e coloni israeliani hanno effettuato 38.359 attacchi a terre, proprietà e vite palestinesi. I coloni hanno creato 114 nuovi insediamenti, cacciando dai loro centri abitati 33 comunità autoctone. Sono stati sequestrati circa 5.500 ettari di terreno agricolo di cui 2000 costituenti riserva naturale. Vi sono state costruite strade riservate agli ebrei, torrette militari, zone militari cuscinetto attorno alle colonie. Sono in corso di costruzione per coloni 37.415 nuove unità abitative. Il totale dei posti di blocco e barriere sale a 916, delle quali 243 eretti dal 7 ottobre 2023.

In quello stesso periodo i coloni hanno appiccato 767 incendi su terreni agricoli, effettuato 1.014 demolizioni con la distruzione di 3.679 strutture palestinesi. A inizio settembre i palestinesi uccisi sono 1.079, i feriti 8.015, gli arrestati 22.633, le case distrutte 7.712, i luoghi sacri violati 1.034, gli attacchi a personale medico 314. 10.945 strade di comunicazione sono state sbarrate, 73.000 sono gli sfollati, il 90% dei campi profughi è stato obliterato.

Al regista palestinese Basel Adra coloni e soldati hanno distrutto il villaggio, Masafer Yatta, di cui ci racconta nel suo “No other Land”, premiato con l’Oscar. Sono sue le ultime parole su questo lembo di Palestina, frantumato in mille pezzetti, ma che vogliono che sia il primo passo dello scarpone chiodato sionista verso il Grande Israele. Nel mondo si festeggia la “pace”.

“L’occupazione continua, più brutale che mai. Il cessate il fuoco non è la fine, Gaza è distrutta… In Cisgiordania, solo negli ultimi giorni, hanno ucciso 15 persone e nemmeno uno di loro è in carcere. Bruciano villaggi e i palestinesi devono lasciare le loro comunità, 40 villaggi si sono spopolati e la costruzione di avamposti e di insediamenti è incessante. Trump e il suo governo sono favorevoli ai coloni e agli insediamenti… L’attenzione è tutta su Gaza e su questo cessate il fuoco. Ma dovrebbe essere sul popolo palestinese, sui nostri diritti… L’Autorità palestinese non ha alcun potere e non ho fiducia nei paesi del Golfo. Sia il governo, sia l’opposizione hanno votato che non ci sarà mai uno Stato di Palestina”.

Così stanno le cose. C’è da celebrare? Ai palestinesi non rimane che la loro Resistenza. Unita alle piazze del mondo.

”Spunti di riflessione” Fulvio Grimaldi intervistato da Paolo Arigotti --- --- DALLA PALESTINA AL VENEZUELA LA PAX TRUMPIANA

 

.”Spunti di riflessione” Fulvio Grimaldi intervistato da Paolo Arigotti

DALLA PALESTINA AL VENEZUELA LA PAX TRUMPIANA

https://youtu.be/eMfwwhEVnOA

 

L'espressione "Fanno il deserto e lo chiamano pace" (Solitudinem faciunt, pacem appellant) è attribuita dallo storico romano Tacito al capo britanno Calgaco. Qui, parafrasando, si può dire: “Consacrano un genocidio e lo chiamano Piano di Pace”, o “Creano una golpista e le danno il Nobel della Pace”. Le due cose vanno di pari passo, hanno la stessa matrice e puntano allo stesso risultato. In primis a salvarsi le chiappe. Come cerchiamo di spiegare nella chiacchierata.

Nella Knesset dalla standing ovation a getto continuo, abbiamo visto il rivoltante spettacolo di un Netaniahu che, col linguaggio delle parole e del corpo, si strusciava sui piedi del salvatore della patria assiso sul trono. Abbiamo assistito all’esibizione abietta di una canaglia genocida che, nell’atteggiamento detto del ciclista, pesta verso il basso e piega la schiena verso l’alto. Il “basso” essendo Gaza rasa al suolo con dentro 2 milioni di palestinesi. l’alto, colui che lo ha tratto in salvo a un centimetro dall’abisso, insieme a tutta la sua compagnia da manicomio criminale. Questa immonda esibizione, poi allargata ai partecipanti di Sharm el Sheikh accorsi a nettarsi, con una pace di fuffa e di truffa, della propria complicità o ignavia.  

Analogamente dall’altra parte del mondo e, guardacaso, in perfetta sintonia di intenti, abbiamo visto l’investitura a Nobel della Pace di un collaudato arnese dei servizi sporchi a imperialismo e colonialismo. Ringalluzzita dalle trasfusioni di onorabilità concessole da uno dei più grotteschi premi Nobel mai concessi dal dipartimento NATO norvegese, Maria Corina Machado s’è fatta polena della flotta militare che va assediando il Venezuela e promettendo sfracelli alla nazione bolivariana.

Pace “eterna” in Medioriente grazie all’obliterazione dei palestinesi e del loro Stato e al via libera al nazisionismo per il Nuovo Ordine in quella regione secondo i termini del Grande Israele. “Remontada” yankee in America Latina, a partire dalla disgregazione del paese portabandiera del riscatto di quel continente e ricorrendo, per l’ennesima volta, dal primo golpe del 2002, al proprio agente a Caracas. Una fomentatrice ultraventennale di regime change, invocatrice di sanzioni e interventi militari contro il proprio popolo, ora dal Premio Nobel irrobustita e resa internazionalmente punta di lancia della restaurazione “democratica” del cortile di casa.

Maria Corina Machado si è meritata il riconoscimento, quanto Netanyahu la salvezza. Il taumaturgo Trump ha assicurato ad entrambi quanto meno un lasso di sopravvivenza, possibilmente della durata del suo secondo e ultimo mandato presidenziale. Quello a cui lo hanno chiamato l’aggregato di Deep State, finanza ebraica, Big Tech, Big Armi, e i piccoli ras europei inguaiati dalla propria crisi e a rischio di suicidarsi con una guerra contro la Russia.

Tutto questo succede senza che entrino in scena né la verità, né l’onesta, né la democrazia, né i popoli, la cui autodeterminazione è proclamata obsoleta. La Flotilla, i milioni nelle strade del mondo che hanno costretto le mafie politiche a mettersi in ghingheri di pace, si ricordano di Pier Capponi: “"Voi sonerete le vostre trombe, noi soneremo le nostre campane!"

mercoledì 8 ottobre 2025

“Spunti di riflessione”: Fulvio Grimaldi intervistato da Paolo Arigotti --- PIANO DI PACE, PIANO DI RESA, O PIANO DELLA DISPERAZIONE?

 

“Spunti di riflessione”: Fulvio Grimaldi intervistato da Paolo Arigotti

PIANO DI PACE, PIANO DI RESA,

O PIANO DELLA DISPERAZIONE?

 

 


https://www.youtube.com/watch?v=0e-Ihl2BeO4

https://youtu.be/0e-Ihl2BeO4

Nel video inquadrature alternative alla vulgata sul Piano di Pace

 

L’etichetta che invita a comprare è “Piano di pace”, la sostanza dentro all’involucro è  “Piano di resa incondizionata”, il nocciolo della proposta è “Piano della disperazione”.

Hamas e le altre componenti della Resistenza hanno ovviamente dato disponibilità al “Piano di Pace”. Non farlo avrebbe potuto far pensare che il loro è un cinico accanimento sulla guerra a spese dell’olocausto in atto del loro popolo. E’ palese, con Hamas, l’esistenza di una formazione bicefala, con una dirigenza, da anni a Doha, incline a ascoltare con attenzione gli indirizzi dell’emiro che la ospita, e i più autonomi successori di Hanijeh e Sinwar sul campo di battaglia a Gaza (presenti con minore evidenza anche in Cisgiordania). Consapevoli, questi ultimi, di essere il fattore determinante perchè il piano sia stato innescato, se non dalla disperazione, da un’urgenza di sopravvivenza del progetto sionista, con relative ripercussioni sul futuro del Grande Israele e, più in là, della restaurazione colonialista nell’area e in generale.

Il piano del trinomio Trump-Netanyahu-Blair arriva a poca distanza da quando, secondo la delicata definizione euro-atlantica, Israele stava terminando il “lavoro sporco” a Gaza e in giro per il Medioriente. Lavoro sporco che sarebbe stato completato con “l’inferno” da scatenare nel caso di rifiuto. Un colpo finale, tuttavia, che ha suscitato un inatteso contraccolpo dalle proporzioni inattese, enormi.

Le operazioni “Spade di Ferro”, prima, seguita da quella chiamata “Carri di Gedeone” (a fini di adattamento biblico), si arenavano entrambe a Gaza City, con avanzamenti dell’IDF verso sud e successive ritirate. Le perdite israeliane si avvicinavano ai 2000 caduti e a decine di migliaia di feriti, confermando lo scetticismo dei riottosi comandi militari e dei servizi segreti, via via decapitati. Israele doveva iniziare a leccarsi ferite sempre più profonde.

Breve elenco. Lacerazione confessionale e politica del tessuto sociale, determinata non solo dalla disponibilità di Netanyahu a sacrificare i prigionieri del 7 ottobre; crisi che si riverberava anche tra le file dell’esercito, con il crescente rifiuto dei riservisti a farsi arruolare, con l’incremento delle diserzioni, dei sucidi dei combattenti, dei casi di stress postraumatico (da curare magari nelle Marche o in Sardegna); una popolazione che i droni e missili yemeniti costringevano a continue corse nei bunker e che i missili iraniani avevano rivelato preoccupantemente vulnerabile; il diseccarsi dell’immigrazione a vantaggio di un flusso di ritorno nei paesi d’origine; l’intiepidirsi, fino al congelamento, dei rapporti economici, commerciali e accademici con il resto del mondo…

Tutto questo a guardare dentro casa. Ma, gettando lo sguardo fuori, si percepiva la nuvolaglia nera farsi nubifragio. La grandinata di riconoscimenti dello Stato Palestinese, che vedevano una lista lunga quanto tre quarti dei paesi del pianeta, 157 su 193 e che, pur carichi di ambiguità, erano imposti per tenere il passo con la pressione delle proprie società. Facevano sì che Palestina fosse diventata la parola politica più pronunciata al mondo. Cosa disdicevole per chi si era adoperato per decenni a sopire, troncare, reprimere, seppellire, l’intera questione. assistito dal collaborazionismo ANP.

Riconoscimenti dettati da un’ola di indignazione mondiale per cosa si sta infliggendo a milioni di civili innocenti di qualsiasi torto, che non fosse la rivendicazione spesso solo della nuda vita. Mercenari che attirano bambini affamati con lo sbrilluccichio di qualcosa da mangiare per poi seccarli con una fucilata. Credo che questo sia stato, nell’oceano di orrori senza precedenti, il suono del gong che ha fatto tremare le mura del tempio di Salomone. E che ha disperso nel vento, come coriandoli alla fine della festa, le parole dette o scritte per convincerci che l’unica cosa buona in Medioriente fosse Israele. 

E allora ecco l’uragano. Quello che ha fatto volare verso Gaza le vele delle flottiglie, quello che ha fatto delle strade del mondo, più di tutte quelle italiane, per una volta avanguardia, una forza incontenibile, un esercito in marcia senza armi. Anzi, con le armi micidiali della coscienza, della compassione, della rabbia e della solidarietà. Un esercito diventato capace di elevare a universale la giustizia, il diritto, l’equità, che si tratti di Palestina, in primis, ma ormai anche delle consanguinee vittime delle diseguaglianze, dei decreti sicurezza, delle bugie a fine di prevaricazione e predazione, dell’esclusione sociale o razziale.

Si capisce perché il mostro bicefalo Trump-Netanyahu abbia dovuto ricorrere ai ripari. Malamente, peraltro Illudendosi che la mega-falsificazione di quanto è accaduto il 7 ottobre, giorno di “Hannibal”, cioè del fuoco israeliano indistinto su nemico e amico, potesse far passare l’inversione vittima-carnefice e tirarle dietro ancora una volta una complicità, attiva o passiva, che però l’uragano nelle vele della flottiglia ha spazzato via per sempre.

A Sharm el Sheikh, una cosca di palazzinari pratici di costruire con mattoni fatti di ossa e cementati col sangue, pensa di poter sistemare 15 milioni di palestinesi, ognuno dei quali aveva, o ha scoperto ora, di essere portatore e diffusore di una pandemia. Il virus si chiama libertà.

martedì 7 ottobre 2025

Fulvio Grimaldi per l’AntiDiplomatico L’origine di un genocidio, di una flottiglia, di un “accordo di pace” --- --- IL 7 OTTOBRE E’ UN ALTRO E 1 milione di manifestanti lo sa

 


ESTRATTI DALL’ARTICOLO

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Mentre scrivo dalla data di uscita dell’articolo nella mia rubrica di martedì manca qualche giorno. Distanza dovuta a un accumularsi di impegni, sanitari e di convegni, non rinviabili. Chiedo perciò scusa se avrò dovuto bucare qualcosa di importante inerente all’argomento del pezzo, cosa possibile data la tumultuosità degli accadimenti. Ho fatto in tempo, però, a vivere il privilegio di assistere, nelle notti e nei giorni attorno al cambio del mese, a una della più grandi, belle, valide espressioni di civiltà e coraggio umani. Civiltà e coraggio sulla Flotilla e parallelamente in Italia, vera avanguardia europea, la gigantesca sollevazione di popolo del 3 e 4 ottobre contro la barbarie genocida e i suoi sicari in Occidente e a dispetto del ratti in fuga che ci governano. Un ottobre come un maggio parigino di 57 anni fa. Allora grazie al Vietnam, oggi alla Palestina. E’ sempre dal Sud globale, quello che allora chiamavamo Terzo Mondo, che viene la salvezza.

Nel milione di manifestanti del 3 e 4 ottobre non s’è udito nessuno azzardare una sola parola di biasimo, o di condanna, o di critica, a Hamas. Bella risposta a Travaglio e al suo inserto nel Fatto Quotidiano in cui ben 14 paginoni sono state riempite da firme ritenute illustri per ripetere l’assunto che Israele ritiene giustifichi l’orrore di Gaza: il terroristico pogrom di Hamas del 7 ottobre, con la carneficina di 1.200 civili e relativi stupri. A salvarsi è rimasta la sola Barbara Spinelli che, forse, ha intuito che se un milione di persone applaudono a un cartello con la scritta “Verità sul 7 ottobre” e se gli stessi israeliani di Haaretz rifiutano la fabbricazione del loro governo, qualche motivo per pensarci dovrebbe esserci.

Quelli che… poveri palestinesi ma quei terroristi di Hamas…”Il governo di Israele e il vertice di Hamas, cioè le due organizzazioni terroristiche…”, “”Israele appoggiava Hamas per cancellare la già debolissima ANP… “Entrambi, Israele e Hamas, i guardiani del loro inferno”…” E’ un genocidio, ma le atrocità commesse da Hamas il 7 ottobre”…”La strage dei milleduecento innocenti perpetrata il 7 ottobre 2023 dai macellai di Hamas”… “Sentimenti ovviamente ignoti al terrorismo di Hamas”…

Trattasi di dichiarazioni pubbliche e pubblicate, tutte di personaggi in vista, giornalisti, analisti, diplomatici, che, mentre forniscono questi assist al genocidio equiparando colonialisti e colonizzati, oppressori e resistenti, tirannia e movimento di liberazione, si professano – e risultano al pubblico – convinti critici di quanto lo Stato sionista infligge alla Palestina. E poi c’è chi ritiene eccessivo che, per riconoscere l’integrità e coerenza di chi si proclama “proPal”, gli debba essere fatto “l’esame del sangue” (ovviamente etico-politico).

Di questo infantile, o piuttosto incolto e disinformato, mettere sullo stesso piano la giornata del 7 ottobre e i due anni di carneficine a Gaza, se ne avvantaggia anche il cosiddetto “piano di pace” (macabramente detta “eterna”) dei tre serialkiller Trump, Netanyahu, Blair. Piano che, nella sua ciccia, implica, con linguaggio da sicari mafiosi, l’inevitabilità che si debba “finire il lavoro”. Che implica pure il mantra partito l’8 ottobre, secondo cui il popolo palestinese, 2,3 milioni a Gaza, 15 milioni in tutto, è Hamas e viceversa. Per cui “finire il lavoro” significa obliterare Hamas, intendendo l’ultimo palestinese.

Ma c’è equiparazione ed equiparazione. Alla fondatezza di quella sopra riportata proverò ad apporre qualche dubbio. Invece trovo un’inesorabile equivalenza tra quanto è stato detto, dagli uni e dagli altri, attorno a una Flotilla che ha contribuito a cambiare, in meglio, il volto dell’umanità. Accantoniamo, per carità di patria, l’esibizione del Q.I. del premier Meloni quando ha chiamato il suo governo vittima della destabilizzazione orchestrata nientemeno che dai militanti del diritto di 44 paesi, tutti “irresponsabili”, che stavano sulla Flottiglia.

L’equiparazione, stavolta del tutto evidente è, da un lato, quella che vede una Meloni dal megalomane vittimismo definire nemici della pace gli equipaggi della spedizione politico-umanitaria. Quelli che, sfidando questi infami dileggi, a volte fatti propri perfino da chi si dichiara “voce della Palestina”, hanno messo a disposizione della pace e della giustizia il loro tempo, i loro mezzi finanziari, la loro incolumità

Accanto a lei tutti quegli altri, suoi pari colonialisti occidentali, compresi i proclamatori grotteschi della “pace eterna”, cioè della resa incondizionata dei palestinesi. Sono coloro che ricattano i naviganti (sia ripetuto: infinitamente nobili e coraggiosi) intimandogli di mollare e non provocare “le giuste rappresaglie di Israele”, ma si astengono rigorosamente dall’imporre imporre ai violatori del diritto internazionale e carnefici di Gaza di rientrare nella legalità e rispettare il diritto di violare blocchi illegali.

Dall’altro lato, in parallelo, anzi, in osmosi, stanno quei personaggi, statuali, politici e mediatici della sfera sionista, che affermano, sventolando documenti di fattura opaca, che l’intero ambaradan della flottiglia, dei portuali che sabotano le partenze di armi per Israele, di centinaia di milioni di manifestanti nell’orbe terracqueo, obbediscano ai “terroristi” di Hamas e da questi verrebbero addirittura pagati. Sarebbero le bande dei contractors di Hamas. Qui la collocazione sullo stesso piano ci sta tutta, comodamente.

E’ tempo, da tempo, di false flag

Stiamo attraversando tempi nei quali i cieli del Nordeuropa producono grandinate di False Flag, uno strumento diventato principe dell’arsenale di chi muove guerra per sottomettere, conquistare, rapinare, ma che ha alle spalle, in Occidente, quasi tutta la sconfinata teoria di guerre colonialiste e imperialiste. Spesso, quando ormai lontane nel tempo e indifferenti a smentite, addirittura neppure più rivendicate come tali dai rispettivi autori.

Basta pensare alla Maine, nave da guerra USA, incendiata dagli USA nella baia dell’Avana per strappare Cuba agli spagnoli. A Pearl Harbor, quando, fingendo un imminente attacco a Tokio, si indusse il Giappone a bombardare una flotta USA, in buona parte spostata al riparo, peer avere il pretesto della guerra. Nel Golfo del Tonchino dove un inventato attacco vietnamita agli USA innescò una guerra costata al Vietnam tre milioni di morti e conseguenze genetiche a generazioni da napalm e diossina da Agente Orange. I tedeschi che finsero di essere stati sparati da soldati polacchi che invece erano soldati del Reich. Il primato assoluto per ciò che se ne è tratto, ma anche per la grossolanità dell’inganno, spetta all’11 settembre. L’attentato, attribuito a degli sprovveduti sauditi, costò 3000 vittime nelle torri, ma guerre “al terrorismo” per milioni di morti in Afghanistan, Iraq, Siria, Libia, accompagnato da repressioni in casa favorevoli alla fascistizzazione delle proprie società.

Israele, di solito, non ha bisogno di ricorrere a false flag. Le sue bandiere sono magari false nella narrazione dell’accadimento, ma quanto all’accadimento stesso non si sono mai manifestati scrupoli, Netanyahu o non Netanyahu, ad attaccare, bombardare, invadere, incendiare, devastare, uccidere. Vedi, oltre a Gaza e Cisgiordania, Iran, Libano, Iraq, Yemen, Qatar, più attentati ed esecuzioni sparsi in giro, perlopiù tra paesi amici. Con governi tolleranti fino alla compiacenza.

Così, subìta l’offensiva del 7 ottobre, la prima dopo le operazioni dei fedayin degli anni settanta, gli attentati kamikaze, le due intifade e il successivo quietarsi della popolazione sotto occupazione, indotto dal collaborazionismo nella repressione dell’ANP di Abu Mazen, Israele si è adoperato a fare del suo racconto una falsa bandiera.

Hamas è il legittimo rappresentante dei palestinesi, in seguito alla sua vittoria nelle ultime elezioni che l’ANP di Mahmud Abbas ha permesso di tenere nei territori occupati. La sua operazione del 7 ottobre ha ridato vita alla prospettiva di esistenza di una nazione per 15 milioni (tra stanziali e profughi) di palestinesi. L’ha inserita al centro dell’attenzione mondiale, anche per essere diventata un simbolo della contesa mondiale tra colonizzatori e colonizzati e, di più, tra ricchi e non ricchi, tra élites e masse, tra i pochi e i tanti.

Cosa è successo il 7 ottobre

L’operazione condotta il 7 ottobre alle porte di Gaza, finalizzata a ottenere la liberazione di qualcuno dei 70.000 palestinesi passati per le carceri israeliane, spesso senza accusa e processo e a tempo indeterminato, diventa nel racconto del regime israeliano il pretesto e la giustificazione militare, politica e morale del genocidio in atto da allora. Ed è qui che sventola la bandiera falsa. Conviene tornare a esaminarla. E su questo bubbone cognitivo che si ha il dovere di incidere.

Arrivati via aria in territorio occupato adiacente alla Striscia con parapendii a motore e, via terra, con moto e pick-up, l’obiettivo era quello di approfittare della presenza di giovani, spesso militari, al Rave Nova e di altri coloni che risiedevano nel kibbutzim costruiti sulle macerie dei villaggi palestinesi. Va qui precisato che quando si parla di civili attaccati e uccisi, si parla di coloni occupanti una terra altrui, in gran parte armati contro gli espropriati. Gli unici israeliani ai quali non si attaglia questa definizione dovrebbero essere coloro non in grado di decidere se stare in quel posto: i bambini

 Neutralizzata ed elusa la rete di sorveglianza fisica ed elettronica, gli incursori sono riusciti a occupare il comando centrale dell’IDF di Erez, alle porte di Gaza, oltre a comandi minori lungo la delimitazione della Striscia. Questo ha impedito ogni reazione prevista pressochè automatica. Ci sono volute circa due ore prima che forze di sicurezza e militari, avvertiti via cellulare dagli abitanti dell’area, potessero intervenire. I combattenti di Hamas disponevano di armi leggere, Israele è intervenuto con carri armati e una ventina di elicotteri. E allora da chi e cosa sono stati sventrati o ridotti in macerie gli edifici dei Kibbutzim con al loro interno gli abitanti e i militanti di Hamas che facevano prigionieri da scambiare on i loro? Dai mitra degli incursori, o dalle cannonate dei tank e dai missili degli elicotteri?

Distrutto il mito dell’invincibilità militare di Israele, ma riparato con la favola che Israele ha lasciato fare o, addirittura, era d’accordo con Hamas.

La dottrina Hannibal, a suo tempo adottata in Libano per impedire la cattura di soldati, è stata a quel punto impiegata dalle forze disordinatamente accorse e confusamente impiegate. Lo ammettono ufficiali superiori della stessa aeronautica israeliana che nessuno ha mai smentito e poi lo stesso Yoav Gallant, allora ministro della Difesa. Hannibal impone di sparare ai sequestratori, anche a costo di colpire i propri cittadini. Ne sono nati il fuoco incrociato e le cannonate e i missili che hanno ridotto in macerie edifici in cui si trovavano sia gli incursori, sia i loro residenti. A loro volta i piloti degli elicotteri, come detto anche nei loro scambi telefonici, privi di istruzioni, hanno sparato sui mezzi che portavano via i coloni catturati.

Perché, quando si continuava a parlare di 1.200  “civili innocenti” uccisi (poi da Haaretz ridimensionati a circa 600 verificati) si trascura che, oltrechè di soldati, di coloni si trattava, perlopiù già militari o in procinto di esserlo, comunque adulti della riserva, spesso armati, partecipi dell’occupazione coatta di un territorio espropriato. Coloni e, per contro, colonizzati, ai quali la carta dell’ONU e numerose convenzioni riconoscono il diritto della lotta armata di liberazione.

La zeppa nelle elucubrazioni della Hasbara di Netaniahu e compari, l’hanno già messa parecchi, a cominciare da media e organizzazioni pacifiste dello stesso Stato sionista. Ma la Hasbara non conosce limiti e, a dispetto di ogni inchiesta, a ogni anche minima sollevazione di sopracciglia, la false flag di una versione totalmente manipolata torna a sventolare. I 40 neonati decapitati che non c’erano, le esecuzioni a freddo, gli stupri di gruppo, i bambini cotti nei forni. E non un testimone (che non sia la giornalista alla quale l’IDF avrebbe mostrato un video, mai pubblicato, di alcune di tali atrocità), o un referto medico, o un’autopsia che avesse confermato.

C’è una più recente smentita alla narrazione false flag che dovrebbe giustificare i bambini uccisi mentre chiedevano pane, gli ospedali distrutti, i sanitari e pazienti ammazzati e gettati nelle fosse comuni, un popolo che viene fatto morire di fame e di sete, l’80% delle costruzioni in macerie, le coltivazioni devastate avvelenate, mare e pesca negati a fucilate (ricordiamo Vittorio Arrigoni),  le donne alle cui pance gravide veniva ordinato di mirare, i civili catturati, denudati, umiliati e rinchiusi in carceri della tortura.ù

Chi ha stuprato chi

E’ ora uscito un rapporto dell’Associazione Internazionale per la Prevenzione della Violenza Sessuale (SVPA), basata a Washington e altamente rispettata per i suoi interventi, ricerche, denunce e la gestione della più grande data basi sul fenomeno a livello mondiale.

Il rapporto dimostra come Israele stia producendo propaganda bellica fondata sugli stupri e utilizzando la violenza sessuale come arma di guerra. A questo scopo Tel Aviv farebbe ricorso a ciò che nel rapporto è chiamato SORVO, acronimo inglese di Systemic Oppression, Reverse Victim and Offender, oppressione sistemica, inversione di vittima e autore di violenze.

Osservo ogni giorno l’impiego di SORVO contro i palestinesi. Violenza sessuale per giustificare un genocidio”, dichiara l’autrice responsabile del rapporto, Miranda Martone, a commento del dato, affermato da un PM israeliano, che non ci sono state a oggi denunce di  violenze sessuali commesse da palestinesi il 7 ottobre.

Un testimone che avrebbe salvato donne dall’essere violentata da combattenti di Hamas, è stato smentito e screditato da un giornalista israeliano. Rami Davidian, “testimone della corona” nel libello di propaganda intitolato “Urla prima del silenzio”, filmato della regista statunitense Sheryl Sandberg, avrebbe visto dozzine di  donne uccise, vittime di presunti stupri.

Nulla di tutto queste è confortato da prove autoptiche e altre, o da testimoni sul posto, e rientra, nei dati del rapporto SORVO, tra gli strumenti di propaganda islamofobica secondo cui misogenia e violenza caratterizzerebbe il musulmano. Personalmente, avendo frequentato per sessant’anni il mondo arabo e islamico, mi è rimasta solo l’impressione di una grande armonia nelle famiglie e di un assoluto rispetto per la donna. Non ho mai visto una mano maschile alzarsi su una donna.

Lo stesso New York Times ha dovuto fare ammenda per il suo commento al film “Urla prima del silenzio”. Commento basato su dichiarazioni di vittime, la più rilevante delle quali ha poi dovuto negare tutto quanto il giornalista le aveva attribuito. Resta da osservare che il governo israeliano ha impedito all’ONU di effettuare un’inchiesta sulle violenze del 7 ottobre.

Concludendo, il trattamento che subiscono le donne nelle carceri israeliane, sia durante tutta l’occupazione, sia nel corso dell’attuale sterminio di Gaza, è stato invece confermato dalle vittime, dai medici e da visitatori indipendenti. Per la pratica di un “diritto allo stupro” rivendicato da alcune guardie carcerarie in Israele, si ha la conferma dallo stesso IDF che, ad agosto 2024, arrestò ben nove soldati per “gravi abusi sessuali” su un detenuto palestinese nel carcere nel deserto del Negev. Montare le bufale sugli stupri di Hamas serve sia a distrarre da questi crimini, sia a giustificarli.

La narrazione false flag di Israele è a brandelli. Ma insistono a trarne spunto spunto, i nostri amici delle equivalenze. Quelli che si ritraggono indignati dall’accordo Trump-Netaniahu-Blair per “finire il lavoro” e, due righe più in là, si riaggiustano la cravatta deplorando le atrocità dei terroristi di Hamas. Ma c’è anche di peggio. Sono quelli che si dichiarano del nostro fronte, ma che abbondano di talmente tanta buona volontà colonialista da interpretare l’intimazione alla resa del popolo palestinese, condita di minacce di “finire il lavoro” fino all’ultimo palestinese, come un accettabile passo verso la pace.

 

 

venerdì 3 ottobre 2025

“Spunti di riflessione”: Paolo Arigotti intervista --- Fulvio Grimaldi UN POPOLO DI NAVIGATORI

 

Spunti di riflessione”: Paolo Arigotti intervista

 Fulvio Grimaldi

UN POPOLO DI NAVIGATORI

https://www.youtube.com/watch?v=YJugVKAw37k&feature=youtu.be

Sostieni la Palestina quando combatte, o solo quando sanguina?

Quello cha succedendo nell’emisfero del capitalismo ultraprivatista, guerrafondaio, fascistizzante, agli ordini di un buzzurro incolto e psicolabile e di suoi famuli europei a lui appesi in armi per sopravvivere, viene definito un miracolo. E lo sembra, sempre a chi fa professione di spiritualismo, meglio detto spiritismo, specialisti i bigotti. Ai laici non risulta che ci siano miracoli, ma solo eventi sorprendenti, non attesi, neppure immaginati. Lo sono spesso i colpi di testa della Storia.

Come questo, che ha per simbolo la Flotilla per Gaza e per tema e spazio di manovra la Palestina, stavolta, alla faccia di ignavi, utili idioti, cacasenno, “giaguari” e loro amici, protagonista mondiale.

Da ultra-attempato testimone di ricorsi storici, mi posso permettere di dire che sembrerebbe di trovarsi a un fenomeno affine a quello sviluppatosi tra 1968 e 1977, prima che con la scaltra operazione BR finte, i padroni riuscissero a spazzare via tutto. E a tenere eventuali risvegli sotto controllo tramite le Operazioni Paura AIDS, Paura Terrorismo Islamico, Paura Pandemie, Paura Clima, Paura ri-Terrorismo non solo islamico, Paura Putin.

La situazione gli è scappata di mano.  Tutto quello cui hanno fatto ricorso, monopolio della forza, strumenti tecnologici, spionistici, stragisti, mafiosi, gas CS, idranti e manganelli, viene travolto, non riesce ad evitare che, con il nostro paese, non per la prima volta all’avanguardia, milioni si ritrovassero nelle piazze, ai cancelli, sulle strade, alle stazioni, sui binari, nelle aule scolastiche, sui moli dei rifornimenti al mostro. Perfino, forza delle cose, sugli schermi dei manipolatori strutturali, messi da quella forza con le spalle al muro e con le telecamere su Flottilla, piazze, cortei, università, scuole. Presto fabbriche e servizi.

Esauriti i mezzi della sottomissione che iniettano nelle menti con metodi soft, finiranno con lo sparare. Il quadro giuridico c’è già, si chiama Decreto Sicurezza ed è la cosa più nazifascista messa in campo dal 1926, anno della fascistissima legge sulle riunioni pubbliche e sugli assembramenti:

Ma noi oggi gioiamo, riconoscenti e orgogliosi di noi che, seppure non fossimo su quelle barche in quelle piazze, ne capiamo il valore, l’intelligenza, la nobiltà e il coraggio. E il futuro che si apre come uno squarcio di luce in fondo a un tunnel lungo cinquant’anni.

Davanti a tutti i ragazzi, gli adolescenti, i giovani, gli appena maturi, poi i maturi e perfino molti attempati, scopertisi improvvisamente ringiovaniti. Cosa da far andare in tilt, e probabilmente uscire dai gangheri, gangheri tradotti in pretoriani picchiatori e carceri, ogni èlite. Comprese quelle ulteriormente inferocite e moralmente e intellettualmente degenerate rispetto a quelle del recupero dell’ordine, mezzo secolo fa. Tremebonde, esorcizzano i ricorsi storici bollando quella primavera di “anni di piombo”.

Ciò che va provando il trio di fattucchieri Trump, Netanyahu e Blair, con stregonerie ricavate da sostanze tossiche varie chiamate “Accordo di pace” (eterna, non è neanche sottinteso), è il bluff del pokerista che sta perdendo. Crede di cavarsela evitando di prendere in considerazione il soggetto – perno della questione - di cui crede di poter disporre, ma calcola solo il terreno su cui esso vive. E soprattutto i profitti che ne possono trarre, sia gli stessi tre, sia quel loro circo dell’orrore, di delegati proconsoli e sussidiari, pupazzi deformi, che girano per stand e baracconi sbattendo le sciabole per sentirsi vivi e operativi, e per fare una paura che alle barche e alle piazze fa un baffo.

E sapete perché fanno sparire il soggetto da cui tutto parte e da cui sono messi in ambasce? Perché, a dispetto di tutti coloro che se lo figurano e lo proiettano ridotto a un cronicario di gente messa malissimo, appunto vittime e basta, dal 7 ottobre quel soggetto ha ripreso il discorso della lotta, dei fedayin, delle intifade. Tirandosi dietro gli esclusi del mondo. Al punto da ridurre il colonizzatore e sterminatore in una crisi esistenziale dalla quale non uscirà.

Viva la Flotilla, viva la Resistenza, viva il prossimo 4 ottobre.

Messaggio da Gaza alla GSF. Nessuno di loro ha mai telefonato a Severgnini. https://www.facebook.com/share/v/17CcY7zgkm/